Bellezze dal passato Seminari Archeoclub 2022

Bellezze dal passato

Da quanto esistono i gioielli  e cosa si intende per gioielli? Credo che tutto sia iniziato quando una donna  (o uomo) vide qualcosa che lo ha colpì piacevolmente e lo indossò; forse era una conchiglia particolarmente bella,forse era una pietra colorata , forse il primo gioiello è stato un fiore. Non lo sapremo mai ma quel che è certo è che i gioielli,da tempo immemorabile, fanno parte della vita dell’uomo e quel che è bello, è che dappertutto si sono trovati gioielli con tecniche di lavorazione spettacolari. I primi gioielli sono molto semplici:conchiglie,ciottoli,zanne di animali, denti, corna, semplicemente forati e legati al collo o al braccio con una semplice corda.

Chi li indossava pensava di assumere le stesse caratteristiche fisiche e spirituali delle sue prede. Solo quando si scopriranno le tecniche della metallurgia e l’oro con le sue qualità (inossidabile,malleabile, inattaccabile dalla gran parte dei composti chimici, non si arrugginisce e ha un basso punto di fusione) l’uomo inizierà a creare meraviglie.

Due popoli iniziarono a lavorare l’oro in modo spettacolare:gli Egizi e gli Etruschi. Gli Egizi crearono gioielli splendidi,giunti fino a noi in uno stato di conservazione quasi perfetto e di questi gioielli abbiamo esemplari che risalgono al 3000 a. C.  trovati lungo la valle del Nilo. La civiltà egizia era profondamente legata alla religione perciò lo scopo dei gioielli era quello di proteggere chi li portava dagli spiriti del male (testa del dio Horus in oro a sbalzo con occhi in ossidiana risalente al 2345-2181 a. C). I gioielli avevano la forma di diverse divinità  o figure simboliche e l’oro diventò simbolo del divino. Oltre all’oro si usavano anche pietre preziose per esaltare il valore divino di questi gioielli e le più utilizzate erano lapislazzuli,turchesi, feldspato, corniola, steatite, malachite, ematite,quarzo,ossidiana,serpentino,diaspro sanguigno. Per l’oro le tecniche di lavorazione principali erano lo sbalzo e l’intarsio. I soggetti raffigurati, figure zoomorfe o naturali, simboli del divino erano il gatto, il fior di loto,l’occhio di Horus,lo scarabeo, il serpente,il papiro,l’ibis,la piramide. Anche i colori avevano significati simbolici così il blu era il cielo, il verde la rinascita,il rosso la vita. Per gli Egizi i gioielli erano indispensabili in vita e in morte e proprio nelle sepolture sono stati ritrovati questi spettacolari manufatti che erano di vario tipo:collane circolari, pettorali, bracciali indossati a coppie sulla parte superiore delle braccia,anelli a sigillo spesso con la testata (a forma di scarabeo) rotante, orecchini,diademi per le donne e ornamenti per il corpo. Durante l’Antico Regno erano popolari collane chiamate WESEK, costituite da una decorazione a piccoli cilindri con due teste d’aquila alle estremità. Nel Medio Regno si usavano pettorali a” forma di tempio”, piccoli templi con all’interno raffigurazioni degli dei o della vita dopo la morte.

Del Nuovo Regno abbiamo le più ricche testimonianze grazie ad una scoperta importantissima: la tomba di Tutankhamon, faraone morto da più di 3.000 anni quando il 4 novembre 1922 Howard Carter trovò l’ingresso della sua tomba rivelando un tesoro favoloso intatto,come intatta era era la mummia adagiata in un sarcofago d’oro massiccio.   Questo tesoro dà solo l’idea di quello che avrebbe dovuto essere il corredo funebre di un grande faraone che avesse avuto tutto il tempo di preparare adeguatamente la sua tomba; infatti il sepolcro di Tut è chiaramente improvvisato poiché il faraone morì molto giovane e inaspettatamente, quindi la sua sepoltura fu allestita in fretta e furia in una tomba molto  piccola. Quando fu scoperta, la tomba era già stata violata,infatti i sigilli furono trovati spezzati ma chissà perché i ladri non riuscirono a portare a termine il furto e la tomba fu richiusa. Poi il sepolcro rimase inosservato, nascosto tra le altre tombe nella Valle dei Re. D’altronde era un sepolcro piccolo, improvvisato ed è per questo che il tesoro era tutto accatastato, con i pezzi più grandi, come il carro, smontati. Lì dentro, in quelle quattro stanzette della tomba, furono accatastati più di 5.000 oggetti preziosi: statue, sarcofagi,un trono, letti, catafalchi,cocchi,cofani,armi,gioielli, i vasi canopi.

La mummia del re, che indossava un fantastico corredo di gioielli, si trovava in un sistema di 4 scrigni e 4 meravigliosi sarcofagi incastrati l’uno nell’altro fino ad arrivare all’ultimo realizzato con 110 kg. d’oro e incollati con uno strato di resina. Le pareti delle 4 stanze sono tutte ricoperte da magnifici affreschi e, caso unico, nella stanza del tesoro,in due piccoli sarcofagi antropomorfi, sono state conservati anche due feti mummificati, le figlie mai nate del faraone. Sulla mummia furono trovati più di 100 tra gioielli e amuleti e, tra le altre cose, due pugnali di cui uno era di un materiale allora molto più prezioso dell’oro “il ferro del cielo”, una lega di nichel e ferro proveniente da un meteorite, come confermato da una ricerca condotta col metodo della fluorescenza. Nel pettorale del re c’è un’altra meraviglia: al centro una pietra traslucida a forma di scarabeo, ricavata da una pasta vitrea giallastra di silicio proveniente dal deserto libico, unico esempio di utilizzo di questo rarissimo materiale che studi recenti hanno accertato trattarsi del prodotto dell’esplosione di una cometa di ghiaccio sopra il deserto, alcuni milioni di anni fa. Il corredo funebre aveva lo scopo di garantire al re una vita comoda e sicura nell’aldilà

. Infatti gli Egizi, vicino al corpo dei defunti,seppellivano oggetti che consideravano necessari per la sua sopravvivenza nell’altra vita:scodelle di ceramica, utensili,cibo .Per loro il corpo si componeva di vari elementi e tra questi fondamentale era il Ka,una specie di gemello del defunto che lo accompagnava nella vita terrena e doveva essere alimentato nell’altra vita. La sparizione del Ka avrebbe provocato la distruzione del defunto e per questo motivo parte delle offerte alimentari e del corredo funebre erano destinate a questo gemello. Carter, nell’anticamera  del tesoro trovò due statue “due figure nere della dimensione reale del re,l’una di fronte all’altra come due sentinelle, con un gonnellino e sandali d’oro,armate con una mazza e un bastone e con la fronte cinta dal cobra sacro come protezione.”

Una di queste due statue era il Ka di Tut. I gioielli e gli amuleti avevano la funzione di proteggere il re dai pericoli in agguato durante il viaggio notturno che avveniva ogni notte nella barca di Ra, il dio del Sole di cui il faraone era considerato il figlio. Furono trovate scatole ovoidali dipinte di bianco e impilate sotto uno dei letti funebri di Tut:contenevano cibo per alimentare l’anima del re nell’aldilà; c’erano anche le statuette degli ushebtis, i servitori sacri che dovevano servire il faraone dopo la morte ed aiutarlo nelle sue necessità come, ad esempio, vestirsi e per questo, nella tomba  sono stati trovati molti indumenti di lino: tuniche, camicie, gonnellini, perizoma, guanti e in alcuni casi, dice Carter,la tela era così ben conservata che sembrava appena uscita dal telaio.

Per bere c’erano anfore di vino e su ognuna un’etichetta indicava il raccolto, il tipo d’uva,il vigneto e perfino il nome della persona responsabile. Per il cibo c’erano alimenti base come pane, aglio, cipolle,legumi, miele e persino cibi già preparati. Nella tomba c’erano diversi scettri Heka(bastone) e Nejej (flagello),simbolo dell’autorità reale. Le sedie erano simbolo d’autorità e prestigio e il trono, tutto ricoperto d’oro e riccamente decorato con vetro,faiance e pietre incastonate ne era un esempio. Lo schienale rappresenta una scena familiare in cui il faraone è seduto sul trono e la moglie Ankhesenamon applica sul suo corpo profumi. La scena è dominata dal disco solare di Aton. C’erano molte armi sia di offesa che di difesa e anche piccole armi come un arco le cui misure indicano che furono utilizzate da Tut bambino. Furono trovati oltre 130 bastoni da passeggio. Recenti studi hanno dimostrato che il faraone era affetto dalla Sindrome di  Marfan che è una rara malattia ereditaria del tessuto connettivo che causa alterazioni ossee, oculari, cardiache,polmonari e del sistema nervoso.

Negli ultimi tempi è stata condotta da un team di scienziati coordinati dal dottor Zahi Hawass,direttore del Consiglio  supremo delle Antichità Egiziane,una ricerca sulla salute del faraone e gli scienziati hanno lavorato per due anni studiando il DNA di Tut e di altre sedici mummie riuscendo a ricostruirne la discendenza  per 5 generazioni. Si è scoperto così che il padre del faraone era Akhenaten e la madre sarebbe una giovane donna trovata sepolta insieme con una donna più anziana. Gli scienziati hanno utilizzato test radiologici, forensi e genetici molto approfonditi che hanno permesso di conoscere le varie malattie di cui soffriva il faraone. Oltre a quelle già citate il re soffriva di osteocondriosi al piede sinistro,rara patologia ossea che gli rendeva difficile camminare e ciò spiega la gran quantità di bastoni trovati e di malaria nella sua forma più grave, la malaria tropica.

Tutte queste particolari malattie erano dovute al fatto che Tut era figlio di un incesto,nato dal matrimonio tra Akhenaten e la sorella. E’ quanto dedotto dal dott. Albert Zinc, direttore dell’Istituto per le mummie e l’Iceman presso l’Eurac di Bolzano. All’epoca, oltre a non conoscere i nefasti effetti dell’incesto sui figli era quasi obbligatorio per i faraoni sposarsi “in famiglia”poichè, essendo divinità non potevano far entrare estranei nella famiglia reale.  Lampada di alabastro,sarcofagi,ombrello, maschera funeraria,pugnali, pettorali,letti,carro.

  Gioielli della Magna Grecia

A Taranto,tra il IV e II sec. a. C. erano presenti numerose botteghe di orafi che creavano gioielli di grande pregio. Estremamente creativi, interpretavano con ingegno e padronanza tecnica i vari motivi ornamentali e lo vediamo con gli effetti di colore ottenuti con l’impiego di smalti e con la decorazione naturalistica basata su forme tipiche della produzione locale. A partire dalla seconda metà del IV sec. a. C. l’espansionismo  verso oriente di Alessandro Magno fece sì che sui mercati mediterranei si riversasse una grande quantità di oro ed argento e da quel momento in poi si sperimentarono nuove forme e nuove tecniche, sia per quanto riguardava gli orecchini che le collane.

Un forte influsso su questa produzione lo aveva il legame tra Taranto e la Grecia; infatti Taranto, l’antica Taras fondata dagli Spartani verso il 706 a.C., ebbe proprio in età ellenistica il suo massimo sviluppo. Alleati degli Spartani, i Tarantini arrivarono all’apice della loro potenza ed espansione verso la metà del IV sec. entrando anche in conflitto con Roma che solo nel 209 a. C. conquistò Taranto che nel secolo successivo fu definitivamente annessa alla repubblica romana.

Fino ad allora Taranto era una città greca i cui abitanti parlavano greco, vestivano alla greca,erano di cultura greca. L’oreficeria tarantina era strettamente legata alla cultura greca per cui, con la conquista dei romani, entrò inesorabilmente in declino fino a scomparire in breve tempo poiché, sotto i romani, la città non riuscì più ad ottenere quell’egemonia culturale e politica che aveva in epoca magno greca. Per questo motivo è tra il VI e III sec. che l’oreficeria tarantina ebbe il suo massimo splendore con la creazione di oggetti che non hanno riscontro altrove.

Il fatto,inoltre, che gran parte di questi gioielli siano stati trovati nelle necropoli ci racconta anche della funzione sociale di questi oggetti che non venivano indossati solo in vita dai ricchi proprietari ma venivano inclusi anche nelle loro sepolture per permettere al defunto di mostrare la sua condizione sociale anche nell’aldilà.

Dalla seconda metà dell’VIII sec. a. C. la fondazione delle colonie greche in Italia meridionale determinò l’intensificarsi di scambi commerciali e la diffusione di elementi ionici nell’area tirrenica. Durante il VI sec.. a. C. i gioielli magno greci si conformarono ai modelli ionici come confermano i manufatti in oro provenienti perlopiù dai contesti funerari come quelli di Ruvo di Puglia dove sono stati trovati i fermatrecce e la bellissima collana con pendenti., gioielli che fanno parte della collezione che si può ammirare al MANN.

I fermatrecce servivano ad ornare le acconciature femminili: i capelli venivano avvolti attorno alla parte cilindrica lasciando in vista il cerchio più largo decorato con la tecnica della granulazione, del pulviscolo e della filigrana. La granulazione è un’antica tecnica che consiste nel saldare ad una lamina d’oro dei piccolissimi granuli sferici, sempre d’oro.

Se i grani sono di dimensioni microscopiche si chiama pulviscolo. Le rappresentazioni sono a rilievo ottenute lavorando a sbalzo una sottile lamina d’oro su cui c’è una decorazione molto elaborata e complessa che si snoda su tre fasce parallele costituite da un motivo a treccia, da crateri e da maschere di Gorgone alternate a sfere. Altre tecniche sono la cesellatura che è l’arte di lavorare di lavorare i metalli col cesello che è un piccolo scalpello con cui si possono lavorare tutti i metalli e le pietre dure. E’ usato per decorare e rifinire in ogni particolare lastre di metallo e oggetti realizzati a fusione. La martellatura è l’operazione mediante la quale,con ripetuti colpi di martello,si ottengono manufatti di oreficeria, argenterie, ecc.(vasi, anfore,bassorilievi,lavori a sbalzo).

La collana di Ruvo


è formata da un intreccio di fili d’oro e da una rete di maglie di diversa ampiezza cui si agganciano una serie di pendenti raffiguranti ghiande, fiori di loto e teste di Sileno.  I pendenti sono realizzati molto finemente e con grande attenzione ai dettagli: notare la rifinitura dei capelli e della ruga sulla fronte ottenute con la granulazione. Il gioiello sarebbe stato realizzato da maestranze etrusche e, secondo recenti interpretazioni, non sarebbe una collana ma la decorazione di un abito. Nella Magna Grecia, dal V sec. a. C., ci fu un aumento della produzione dell’oreficeria e ci furono centri importanti per la lavorazione come Taranto e Cuma in Campania con la produzione di fibule specie a Ruvo. Gli esemplari più antichi sono ad arco semplice, decorati da una melagrana a lamina battuta che pende dalla fibula con una catenella. La melagrana è decorata da una baccellatura, cioè un motivo ornamentale a rilievo ottenuto con una serie di scanalature concave. E’ liscia nella parte centrale e all’estremità inferiore del ciondolo reca un bocciolo con calice semiaperto, decorato in filigrana. Altra coppia di fibule ad arco ingrossato nella parte centrale e all’estremità della staffa c’è una testa di ariete finemente lavorata. Fibula a staffa lunga con palmette e melagrana con fiore a 13 petali rinvenuta nella tomba Stevens 185 di Cuma

Dal IV sec. a. C. Taranto ebbe un ruolo fondamentale nell’oreficeria. Lì venivano prodotte collane a nastro, con o senza bulla, orecchini a disco con vasi,testine femminili ed elementi geometrici come pendenti. Questi orecchini sono formati da un disco con al centro una testa di Gorgone incorniciata da una fila di globetti e da una di archetti seguiti da un motivo ad onde. Dal disco pendono  un elemento piramidale decorato da motivi vegetali e tre pendenti con raffigurazioni di di tipo vegetale come ghiande, foglie e palmette. Gli orecchini erano gioielli molto diffusi e il loro uso poteva connotare lo status di donna sposata. Altra tipologia di orecchini erano quelli detti ad “helix” (elice) che venivano indossati fino alla morte senza essere mai sostituiti. Questi orecchini,infatti, prevedevano un foro molto ampio nel lobo, allargato progressivamente per permettere lo scivolamento del corpo tubolare dell’elice, fissato poi dall’incastro di due protomi alle estremità. In questi altri orecchini l’estremità è formata da due testine a sbalzo dove è raffigurata la stessa tipologia di gioiello rappresentato in miniatura. Agli inizi del III sec. Taranto raggiunse il massimo della sua ricchezza che si riflesse in una grande produzione di gioielli che continuò fino alla seconda guerra punica e in questo periodo troviamo una notevole produzione di corone e diademi. A Taranto e a Cuma ci fu una grande produzione di anelli con castone ovale o circolare come questo che presenta il castone sollevato da due cariatidi ed è decorato da una testa di Gorgone circondata da due serpenti le cui code si intrecciano in un nodo erculeo.

Vediamo ora alcuni dei gioielli più belli, importanti e perfettamente conservati che sono stati trovati e che oggi fanno parte della collezione del MarTa, collezione composta da preziosi monili di epoca ellenistica e romana. Vanno giustamente inseriti tra gli oggetti di lusso che fanno parte della storia di un popolo e sono la sintesi della famosissima lavorazione dell’oro in età ellenistica e romana. Questi gioielli costituiscono un’importante testimonianza della lavorazione dei metalli preziosi e di quanto fossero apprezzati prima nelle città della Magna Grecia e poi a Roma. Come già detto, le principali tecniche di lavorazione erano la martellatura, la cesellatura,la filigrana e la granulazione.

Un capolavoro dell’arte orafa a Taranto è il cosiddetto diadema di Canosa detto anche “il diadema fiorito”proveniente dalla “tomba degli ori di Canosa”scoperta nel 1928 e poi subito richiusa e dimenticata e riscoperta nel 1991, eseguito in età ellenistica per soddisfare le esigenze di lusso di esigenti committenti,diadema che rappresenta un unicum, composto da elementi separati e assemblati tra loro con grandissima perizia. Il diadema è del III sec a. C. e colpisce per la sua ricca decorazione composta da più di 150 fiori su tutta la sua lunghezza, per la varietà di forme e di colori e per la particolarità che gli elementi non sono saldati ma inseriti ad incastro:questo fatto faceva sì che la composizione si potesse cambiare. Il supporto consiste di due lamine d’oro ripiegate a canale e unite da una cerniera. Su di esso è rappresentata un’elegante composizione floreale lavorata “a giorno” con mazzetti di fiori, bacche, foglie di svariati tipi tenuti insieme da un  nastro continuo impreziosito da smalti di varie tonalità di verde, a imitazione di una ghirlanda. Ogni elemento, parzialmente mobile, è fissato al supporto con piccoli anelli e l’uso di smalti colorati e pietre semipreziose come granati e corniole, aument l’effetto naturalistico dell’insieme. Una cerniera permetteva di regolarne l’ampiezza così da adattarsi a varie taglie e il diadema si legava dietro la nuca con un nastro in tessuto, come indicano gli occhielli all’estremità della lamina, dal cui cavo fuoriescono foglie di quercia smaltate.

Il diadema si differenzia dalla corona poiché si trattava di un oggetto decorativo ed era indossato in vita mentre le corone avevano una funzione funeraria poiché erano un’offerta per il defunto specie se persone importanti. Tra le corone più importanti rinvenute nell’area di Taranto c’è la corona a foglie di quercia della I metà del II sec. a. C .formata  da 30 lamine a stampo disposte in 10 gruppi (5 per ogni lato) di 3 foglie ognuna ed ogni foglia ha una nervatura centrale e i bordi a rilievo smussati. La naturalezza è accresciuta dal fatto che le foglie non sono disposte in modo regolare ma sono smussate e sovrapposte per dare sia più corpo all’oggetto sia per simulare le vere foglie di quercia sul ramo.

Orecchino a navicella. In origine era una coppia ma uno scomparve in circostanze mai chiarite in una mostra itinerante tenutasi a Milano, Parigi, Amburgo e Tokio. L’orecchino è chiamato “a navicella” perché ricorda il profilo di una barca ed è ricchissimo di decorazioni. Al centro ci sono tre fili d’oro col centrale lavorato a formare una serie di piccoli globi e poi, in filigrana e granulazione, una ricca composizione di palmette, fiori, rosette e spirali. Al di sopra c’è una palmetta con rosetta appoggiata a due spirali ad S. Alle estremità vi sono due figure femminili alate, le Nikai, che hanno un cigno in grembo. Ai loro piedi altre due rosette più piccole e due colombe intagliate in una lamina d’oro. Al di sotto della navicella un sistema di anellini ed elementi a spirale reggono 8 catenelle di maglia e treccia doppia da cui pendono piccole anfore. Ci sono anche piccole palline d’oro realizzate con la tecnica della granulazione: si esponevano al fuoco tanti piccoli quadrati uguali, ritagliati da una foglia d’oro e mescolati a polvere di carbone affinché non si attaccassero tra di loro. Raggiunta la giusta temperatura l’oro si fonde e forma minuscole sfere utilizzabili da sole o per comporre figure.

Collana in oro da Mottola. E’ formata da un nastro fatto da sei catene a maglia doppia saldate tra loro, presenta agganci a forma di cuore, bordata da un filo liscio ed uno godronato con al centro una palmetta in filigrana che sorge da volute. La saldatura si otteneva nei punti desiderati con limatura d’argento e borace. Anche se sembra una collana non lo è,infatti si tratta di un “hormos”,un ornamento del vestito al quale era cucito all’altezza delle spalle. L’anellino alle estremità serviva per inserire il nastro utilizzato per le cuciture.

Anello in oro di Mottola. Sul castone reca il profilo di una testa di donna dai lineamenti marcati, con orecchini a disco con pendente a forma di piccolo putto ed una collana. Il bravissimo orafo ha reso accuratamente la pettinatura del tipo “a melone”con una crocchia sulla nuca. Si ipotizza sia un vero ritratto di donna e che sia la regina Berenice, sposa di Tolomeo I Soter.

Orecchini a testa di leone. Sono orecchini a disco con triplice pendente, della metà del V sec. a. C. con un disco decorato al centro da una rosa con 4 ordini di petali (quelli più piccoli e centrali sono in rilievo rispetto agli altri) affiancata da 2 fiori più piccoli ai lati; dai due fiorellini pendono catenelle composte da elementi geometrici a forma di sfere e di rombi alternati con, in fondo, due piccole campanelle. Al disco è appesa una raffinatissima testina femminile realizzata meravigliosamente a cesello: indossa a sua volta un diadema, una collana e due orecchini a pendente.

La teca a forma di conchiglia reca inciso il nome di Opaka Sabalaides che era la proprietaria della tomba e dei gioielli in essa rinvenuti. E’ realizzata con doratura a caldo ed ha la forma di una capasanta con due valve che si aprono e chiudono. Quando è aperta mostra una splendida decorazione con una Nereide  sul dorso di un cavallo marino. Si pensa fosse un contenitore per cosmetici.

Schiaccianoci in bronzo e oro.

Questi gioielli della produzione tarantina si trovano in molti musei come il Metropolitan di New York ed altri come il British Museum dove si trovano i gioielli della cosiddetta Tomba della sacerdotessa di Taranto.

Dal 1872 il British Museum possiede i gioielli della cosiddetta “Sacerdotessa di Taranto”,un trittico di eccezionale bellezza composto da una collana, un anello e una coppia di orecchini. Il museo li acquistò dal gioielliere e collezionista romano Alessandro Castellani che li indicò come provenienti da Taranto dove sarebbero stati trovati in una sepoltura detta “la tomba della sacerdotessa”. A spiccare è uno scettro di 52 cm.,di eccellente fattura e rarissimo nell’ambito dell’oreficeria greca. In origine era costituito da una verga forse in legno,avorio od osso,parte oggi scomparsa e sostituita da un cilindro in resina, parte rivestita da una rete di maglie d’oro, costruita in 17 sezioni pressochè uguali, con smalti bianchi e blu incastonati negli anelli agli incroci dei fili e disposti a spirale lungo l’asta. Uno splendido capitello corinzio in alto fa da base ad un grosso vago di vetro verde a sei lobi. La parte inferiore è costituita da un disco d’oro decorato con cerchi concentrici di fili a rilievo che hanno al centro una rosetta a petali concavi sormontati da una sfera di oro massiccio.

L’anello a castone ovale rialzato è decorato con la sagoma a rilievo di una donna dal lungo chitone, seduta, che ha accanto, nella mano sinistra, un oggetto che potrebbe essere uno scettro.

Spettacolare è la collana d’oro a rosette, palmette di fiori di loto doppi e ghiande. La collana è stata di recente ripulita dalle aggiunte moderne (una rosetta, otto grani sferici,una delle teste più grandi e due terminali). Inoltre studi recenti condotti dal prof. Dyfri Williams inducono a ritenere che sia stata una sola mano a creare questi tre gioielli. Si tratterebbe dell’orefice conosciuto tra gli studiosi come il “ Maestro di Crispiano”, di probabile origine greco-orientale, forse tra i pionieri dell’oreficeria tarant

 Anello di Carvilio

A Grottaferrata, nel 2000, durante i lavori di scavo per un traliccio, furono trovati alcuni gradini che portarono alla scoperta di una tomba romana del I sec. d. C. ancora intatta. Al suo interno c’erano due sarcofagi; uno con il nome “Carvilio Gemello”, morto a 18 anni, l’altro col nome di “Albutia Quarta”, sua madre. Al dito della donna c’era un anello d’oro a fascia dove, in un raro cristallo di rocca che fa da lente d’ingrandimento, come in una miniatura è cesellato il ritratto del figlio, morto prematuramente. L’anello è considerato uno dei più preziosi giunti fino a noi non solo per la bellezza ma soprattutto per la maestria con cui è realizzato, poichè il viso del giovane, come in un ologramma, assume espressioni diverse, quasi fosse vivo. Si trova al Museo Nazionale di Palestrina.

Anello di Caligola

Nell’autunno 2019, a Londra, è stato venduto all’asta, per 500.000 sterline un anello di zaffiro della collezione del conte di Marlborough. Questo splendido anello, un capolavoro di 2.000 anni fa  reca inciso su una lunetta un volto di donna e si ritiene possa essere appartenuto a Caligola, l’imperatore romano che regnò dal 37  al 41 d.   C., quando fu assassinato. A rendere credibile questa tesi vi è l’ipotesi che il volto raffigurato sia quello della sua quarta e ultima moglie Milonia Cesonia della cui bellezza Caligola, noto per la sua follia, reale o presunta, era così orgoglioso da farla sfilare nuda davanti alle sue truppe affinché tutti potessero ammirare la sua bellezza. L’anello, un blocco di zaffiro con un fascia d’oro all’interno, ha fatto scalpore quando è stato messo all’asta, per il posto di privilegio che occupava nella collezione Marlborough, raccolta di gioielli fortemente voluta dal conte George Spencer tra la fine dell’ ‘800 e l’inizio del ‘900.