LUSSO E BELLEZZA : CONVEGNO FESTA DELLA DONNA

FESTA DELLA DONNA: CONVEGNO SU “LUSSO E BELLEZZA”

Prof.ssa Maria Elefante

GLI ANTICHI AVEVANO UNA VISIONE DIVERSA DELL’AMORE

FESTA DELLA DONNA: CONVEGNO SU "LUSSO E BELLEZZA" PROF.SSA ELEFANTE. GLI ANTICHI AVEVANO UNA VISIONE DIVERSA DELL’AMORE; SI PARLA DI EROS COME  FORZA COSMICA.

PER GLI ANTICHI EROS ERA UNA FORZA COSMICA CIO’ SIGNIFICA CHE I FILOSOFI, RICORDIAMO EMPEDOCLE, ATTRIBUIVANO AD  EROS LA  CAPACITA’ DI AGGREGARE GLI ELEMNENTI NELL’UNIVERSO.

DOBBIAMO RICORDARE CHE TUTTE LE CULTURE, IN QUEL PERIODO ERANO UGUALI, NESSUNO PREVALEVA SULL’ALTRA,I FILOSOPFI SCRIVEVANO LE LORO OPERE IN VERSI PERCHE’ ALLORA POCHISSIMI SAPEVANO LEGGERE, I VERSI FACILITAVANO L’APPRENDIMENTO MNEMONICO.

PER GLI ARTISTI SCRIVERE ERA DIFFICILE, FATICOSO E COSTOSO; PERO’ TUTTO QUELLO CHE SCRIVEVANO VENIVA  DIFFUSO IN MASSA ATTRAVERSO LA RECITA.

GLI ANTICHI ERANO GRANDI COMUNICATORI E SI SERVIVANO DEL TEATRO CHE RAPPRESENTAVA TUTTO CIO’ CHE VENIVA COMPOSTO DAI PENSATORI.

EMPEDOCLE INDIVIDUA, QUINDI, IN QUATTRO “SOSTANZE”, DA LUI INDICATE CON IL TERMINE DI “RADICI” PRIMORDIALI, NON NATE ED ETERNAMENTE UGUALI,  L’ORIGINE DI  OGNI COSA: FUOCO, ARIA, TERRA, ACQUA.

QUESTE “RADICI” SONO INDICATE DAL FILOSOFO COME DÈI E CHIAMATI COL NOME DI: ZEUS, ERA, ADONEO E NESTIS. IN QUESTO MODO «I PRIMI PRINCIPI SI EMPIONO COSÌ DELL’ESSENZA E DEL SOFFIO VITALE DI POTERI DIVINI

ACCANTO ALLE QUATTRO “RADICI”, E MOTORE DEL LORO DIVENIRE NEI MOLTEPLICI OGGETTI DELLA REALTÀ, SI PONGONO DUE ULTERIORI PRINCIPI: (AMORE) E (ODIO, ANCHE DISCORDIA O CONTESA); AVENTE IL PRIMO LA CARATTERISTICA DI “LEGARE”, “CONGIUNGERE”, “AVVINCERE” «AMORE CHE AVVINCE» , MENTRE IL SECONDO POSSIEDE LA QUALITÀ DI “SEPARARE”, “DIVIDERE” MEDIANTE LA “CONTESA”.

IL PENSIERO DI EMPEDOCLE E’ PASSATO ANCHE NEL MONDO LATINO CON IL “DE RERUM NATURA” DI LUCREZIO, IN QUESTO POEMA IL FILOSOFO E POETA LATINO SI FA PORTAVOCE DELLE TEORIE EPICUREE RIGUARDO ALLA REALTÀ DELLA NATURA E AL RUOLO DELL’UOMO IN UN UNIVERSO ATOMISTICOMATERIALISTICO E MECCANICISTICO: SI TRATTA DI UN RICHIAMO ALLA RESPONSABILITÀ PERSONALE, E DI UN INCITAMENTO AL GENERE UMANO AFFINCHÉ PRENDA COSCIENZA DELLA REALTÀ, NELLA QUALE GLI UOMINI SIN DALLA NASCITA SONO VITTIME DI PASSIONI CHE NON RIESCONO A COMPRENDERE.

IL POEMA SI ARTICOLA SU SEI LIBRI:

IL PRIMO LIBRO: LA TEORIA ATOMICA.

IL SECONDO LIBRO: IL CLINAMEN.

IL TERZO LIBRO: L’ANIMA UMANA.

 IL QUARTO LIBRO: I SIMULACRA.

IL QUINTO LIBRO: LA COSMOLOGIA E LA VITA SULLA TERRA.

IL SESTO LIBRO: GEOFISICA E METEOROLOGIA.

NEL PRIMO LIBRO: LA TEORIA ATOMICA. SI APRE CON UN AMPIO PROEMIO COSTITUITO DA UN SOLENNE INNO A VENERE, FORZA GENERATRICE DELLA NATURA, DEA DELL’AMORE, DEL PIACERE E DELLA FECONDITÀ, PROTETTRICE E SIMBOLO DI PACE E DI GIOIA INFINITA, PERCHÉ INFONDE L’ISPIRAZIONE AL POETA.

Genitrice della stirpe di Enea, gioia di uomini e dei,

Venere che dai la vita, che sotto gli astri scorrenti

del cielo rendi popoloso il mare colmo di navi e la

terra fertile di messi, poiché ogni genere di viventi

nasce da te e, sorta, contempla la luce solare:

te, dea, te fuggono i venti, te e la tua avanzata il cielo

nuvoloso, per te la terra industriosa fa sgorgare fiori,

per te sorridono le vaste superfici del mare

e, placato, splende il cielo di una diffusa chiarezza.

Non appena s’è spalancato lo splendore primaverile

dei giorni e, libero, prende forza il Favonio fecondo.

come primi gli uccelli preannunciano te, dea, e il tuo

arrivo, i cuori toccati dalla tua energia vitale.

Poi bestie feroci e greggi scorrazzano per pascoli felici

e guadano rapidi torrenti: così, preso dalla magia,

chiunque, ardente, ti segue ovunque lo porti.

Infine, per mari e monti e fiumi impetuosi, e per le

magioni frondose degli uccelli e per i campi

verdeggianti, infondendo a tutti per i petti un dolce

amore, fa che con passione le stirpi propaghino

secondo il genere. Poiché tu sola reggi la natura

delle cose, e nulla sorge senza te nei divini mondi

della luce, né accade alcunché di lieto o piacevole,

te voglio come compagna per comporre i versi

che io provo a scrivere sulla natura delle cose,

per i discendenti di Memmio, che tu, dea, hai voluto

si distingussero, ornata d’ogni dote. Tanto più, o dea,

concedi un fascino infinito ai miei versi; intanto

fa’ che le selvagge azioni di guerra riposino tutte

in pace, per mari e terre; infatti, tu sola puoi aiutare

i mortali con una serena pace, poiché i crudi onori

della guerra li governa Marte, potente in armi,

che spesso poggia il capo sul tuo grembo, vinto da

eterna ferita d’amore;  così, sollevando gli occhi,

col collo armonioso reclino, ammirando te, dea,

nutre gli avidi occhi d’amore, e dal tuo viso pende

il respiro di lui che è riverso. Quando lui è sdraiato

sul tuo sacro corpo, tu, dea, abbracciandolo da sopra,

proferisci dalle labbra dolci parole, chiedendo

per i Romani, o gloriosa, una serena pace. Infatti,

né io posso accingermi con spirito tranquillo

in un tempo infelice, né l’illustre stirpe di Memmio

può mancare in tale situazione alla comune salvezza.

L’INVOCAZIONE ALLA DIVINITÀ È UN MODO CONVENZIONALE DI INTRODURRE UN POEMA, NON CONTRASTA CON LE CONVINZIONI DEL POETA: GLI DEI, PUR SE ESISTONO, NON SI CURANO DELLE VICENDE DEGLI UOMINI. DOPO LA DEDICA A MEMMIO SEGUE UN COMMOSSO ELOGIO A EPICURO, CHE PER PRIMO SI ELEVÒ CONTRO LA RELIGIONE E RIVELÒ LA VERITÀ AGLI UOMINI, ENTRANDO NEI SEGRETI DELLA NATURA. LUCREZIO ENUNCIA QUINDI IL PRINCIPIO FONDAMENTALE DELLE TEORIE ATOMICHE: ” MAI NESSUNA COSA NASCE DAL NULLA PER VIRTÙ DIVINA” E NULLA SI RIDUCE AL NULLA, SOLO SI TRASFORMA. LA VITA È COMPOSTA DA UN INSIEME DI CORPI PRIMI, GLI ATOMI, CORPOREI, INDIVISIBILI E INDISTRUTTIBILI; QUANDO SI MUORE ESSI SI DISGREGANO E SI MUOVONO NEL VUOTO DI UN UNIVERSO INFINITO. MATERIA E VUOTO COSTITUISCONO DUNQUE LA NATURA. FALSE SONO LE TEORIE DEI PRESOCRATICI, DI ERACLITO, DI EMPEDOCLE E DI ANASSAGORA.

GENERALMENTE SI INVOCAVA UNA DELLE 9 MUSE GRECHE O LE CAMENE, INVECE LUCREZIO INVOCA LA DEA VENERE. L’INCIPIT NON RICHIAMA QUELLO DEI POEMI GRECI, MA GLI INNI COMPOSTI PER GLI DEI. IL PRIMO DUBBIO È CONCILIARE L’EPICUREISMO CHE ELIMINA GLI DEI DALLA VITA CON UN INNO ALLA DEA, MA LUCREZIO CONSIDERA VENERE SIMBOLO DELL’EDONÉ, DELLA BELLEZZA RAGGIUNTA CON LA SAGGEZZA,UN’ALLEGORIA DEL PRINCIPIO ISPIRATORE, SINONIMO DEL PRINCIPIO VITALE CHE ANIMA E POPOLA IL MONDO. VI ERANO DUE VENERI ADORATE, LA PRIMA ERA LA DEA DELL’AMORE E DELLA BELLEZZA, LA SECONDA, A POMPEI (COLONIA VENEREA POMPEIANORUM),ERA SIMBOLO DELLA NATURA, DESCRITTA DA  EMPEDOCLE. LUCREZIO DESCRIVE VENERE COME PROGENITRICE DEGLI ENEADI PER POTERLA UNIRE AL POPOLO ROMANO.

Venere non è una Dea qualsiasi ma  è amore, forza cosmica aggregatrice è anche l’eros passione evocati dalla poetessa SAFFO.

Nell’inno ad Afrodite, forse una delle più belle e delicate liriche pervenuteci, Saffo esprime la pena e l’ansia per l’amore non sempre corrisposto e il penoso tormento che questo le dà.

Questa lirica assume la forma di una preghiera in cui, con il richiamo di un incontro precedente], cerca di coinvolgere la dea in suo favore ed ella pronta interviene in maniera diretta con la promessa che Saffo si aspetta.

In questa poesia la forza emotiva si coniuga con l’eleganza e la dolcezza delle espressioni che raggiungono l’acme nella sesta strofa in cui la parola della dea diventa impegno, conciso e perentorio.

Afrodite immortale, dal trono fiorito,
figlia di Zeus, che trami gli inganni – ti supplico –
non dannare il mio cuore con angosce e dolori,
signora immortale.

Ma vieni da me, tu che già una volta
da lontano sentisti il mio grido,
e mi hai ascoltato, e sei venuta da me
abbandonando la casa del padre
con un carro tutto d’oro;
e leggiadri uccelli veloci
ti portavano sopra la terra nera
muovendo le folte ali, dall’alto
attraverso il cielo.

Subito giunsero; e tu, beata,
Sorridendo nel tuo viso immortale,
domandavi perché ancora una volta
io soffrivo e perché ancora chiamavo
e che cosa soprattutto volevo
avere nel mio cuore in affanno.

«Chi ancora devo condurre
al tuo amore? Chi, Saffo,
ti ha fatto torto?
Se ora fugge, subito ti cercherò;
se non accetta doni, presto ne farà,
se non ama, subito ti amerà;
anche se non vuole».

Viene anche ora da me
e liberami dal duro affanno
e tutto ciò che il mio cuore vuole
che per me si compia, tu compilo,
e sii tu stessa mia alleata.

la relazione della poetessa con la dea non e’ affatto ingenua. Saffo e’ ironicamente consapevole dell’ingannevolezza dell’amore, dell’inanita’ delle proprie passioni, e dell’ambiguita’ della risposta datale dalla dea: la persona amata pure amera’ presto, ma non necessariamente Saffo! Questa e’ la legge eterna dell’ amore, e ne’ Saffo, ne’ la persona amata, ne’ la dea stessa possono farci nulla. C’e’ un momento in cui la voce di Saffo si sovrappone esattamente a quella della dea, quando entrambe chiedono: “chi di nuovo io sia persuasa tu possa vincere al tuo amore?”, dove “sia persuasa” puo’ riferirsi sia a Saffo che alla dea, come pure il “tuo amore” puo’ rappresentare ugualmente la passione della donna, o il dominio sacro della dea.

L’ intera poesia puo’ essere letta come l’invocazione di una donna a una dea (la dea dell’amore, o una divinita’ universale), ma anche come invocazione della dea a una donna (una donna comune, o un’inizianda) oppure ancora di una donna (Saffo) a un’ altra donna. Questa e’ una caratteristica importante del testo originale, che la presente traduzione ha cercato per quanto possibile di preservare. Saffo imita l’oscuro stile oracolare della sibilla: le frasi sono volutamente ambigue, e richiamano agli eventi fondamentali sia nella vita della donna (di ogni donna, ma anche della stessa Saffo) sia in quella della dea.

Saffo nel frammento La potenza di Eros.

Eros che fiacca le membra, di nuovo, mi abbatte

dolceamara invincibile fiera.

 Attis, ti sei stancata di pensare

a me, e voli da Andromeda

In questo frammento Saffo dà una definizione fortissima dell’amore di Eros perché lo definisce come un istinto ed un impeto forte che è fonte di gioia e dolore per gli uomini.

Gelosia normale, competitiva, proiettata o delirante; in ogni caso, un sentimento antico quanto l’uomo. Saffo, poetessa greca nata intorno al 640 a.C. nell’isola di Lesbo, in uno dei suoi componimenti più famosi, oggi conosciuto come “Ode della gelosia” così scriveva:

Mi sembra uguale agli Dèi

quell’uomo che ti siede davanti

e vicino ti ascolta

mentre parli con dolcezza

e ridi amabilmente.

Questo

mi fa balzare dal petto il cuore,

e appena ti vedo

non ho più voce;

ma la lingua silenziosamente

s’inceppa e un fuoco sottile

corre sotto la pelle,

con gli occhi non vedo più niente,

mi rombano le orecchie,

un sudore freddo mi avvolge,

un tremito tutta m’afferra,

più verde dell’erba divento,

e già quasi vicina a morire

sembro…

ma tutto è sopportabile

poiché…

Il componimento è giunto incompleto, ma nella parte conservata la poetessa si rivolge probabilmente a una delle ragazze del Tiaso, che guarda il promesso sposo e con lui scambia effusioni. La vista della persona amata, sfiorata da un altro, provoca una serie di sintomi che sfiorano quasi l’attacco di panico.

Catullo, nel carme 51, riprende e rielabora i versi di Saffo:

Quegli mi sembra essere pari ad un dio, quegli – se è lecito – superare gli Dei, che sedendo a te rimpetto ininterrottamente ti guarda e ascolta dolce ridente. Questo invece a 
me misero tutti sopprime i sensi: poiché, non appena, Lesbia, io ti guardo, più non mi resta sulla bocca filo di voce, 
ma la lingua è torpida, sottile per le membra corre una 
fiamma, di loro proprio suono tintinnano le orecchie, si 
coprono gli occhi di duplice notte. Ma l’ozio, o Catullo, ti fa 
male; per l’ozio tu ti esalti e troppo agogni…
Anche quest’ode contiene un “elenco” di tutte le sensazioni e i sentimenti che la gelosia e l’amore provocano in chi è costretto a vedere la donna amata con qualcuno di estraneo. Nella descrizione sono coinvolti tutti i sensi: la voce scompare, le orecchie rombano, la vista si annebbia, brividi percorrono il corpo. E’ molto particolare il fatto che non vi sia alcuna indicazione di odio dovuto all’invidia ma, anzi, colui che ha la fortuna di vedere e ascoltare da vicino la donna è ammirato e posto su di un gradino più elevato.

Tuttavia, la gelosia, anche quella più sana, finisce per essere fonte di sofferenze, spesso immotivate. È così difficile costruire qualcosa di sano e bello, che quando ce lo troviamo davanti, tra le mani, la paura ci assale; e quando riusciamo a scorgere qualcosa di speciale, il terrore che ci sia qualcun altro pronto a portarcelo via è una naturale conseguenza. Si fa presto a dire “fiducia”. L’unica arma e l’unica ricchezza di un rapporto vero è l’esclusività. Un Amore coltivato non lascia spazio a terzi, è una piccola fortezza fatta di due cuori. Amore è insostituibilità…

La casa della Venere in Conchiglia: la nascita della protettrice di PompeiFESTA DELLA DONNA: CONVEGNO SU "LUSSO E BELLEZZA"

E’ la casa della Venere in conchiglia, che prende il suo nome dall’affresco che si trova proprio lì, di fronte all’ingresso sul fondo del peristilio: una finta finestra dà l’illusione di aprirsi sul mare ed ecco una rappresentazione di Venere – che,insieme a Marte, è la divinità protettrice di Pompei–  che giace distesa su una conchiglia mentre viene trasportata dalle onde. Ad accompagnarla ci sono due amorini. L’affresco riprende il racconto di Esodo, “La nascita di Venere dalle acque“, secondo il  quale la dea dell’amore sarebbe nata dalla spuma del mare e trasportata da Zefiro fino a Cipro, dove poi le Ore l’avrebbero condotta al cospetto delle altre divinità.
Venere appare nuda, vestita solo di un diadema nell’acconciatura in stile Flavio, dei bracciali e delle cavigliere d’oro.In mano un ventaglio. Accanto alla Venere c’è il suo amante, Marte, dipinto però su un pannello a parte.

Venere in conchiglia ci ricorda La nascita di Venere di Botticelli  e si può ben capire dal periodo di realizzazione che  l’iconografia dell’opera non sia stata un’ invenzione dell’artista.

 

DANAE E LA PIOGGIA D’ORO

Da sinistra verso destra:
Danae e la pioggia d’oro, cratere a calice a figure rosse, 490-480 a.C. San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage;

Danae e la pioggia d’oro, cratere a campana a figure rosse, fine V sec. a.C., Paris, Musée du Louvre;

Danae accoglie in grembo la pioggia d’oro, corniola, München, Antikesammlung.

Danae compare la prima in letteratura nel mirabile frammento di Simonide (la ninna nanna al piccolo Perseo, dentro l’arca in balia delle onde del mare: la sua fortuna mitografica e iconografica e iconografia riguarda proprio l’episodio della miracolosa congiunzione della fanciulla rinchiusa nella torre con Zeus, sub specie di pioggia d’oro, e della sua conseguente miracolosa fecondazione. Questa la storia di Danae, come si può sommariamente riassumere in base alle schede mitografiche di Apollodoro e di Igino. Un oracolo, interpellato dal re di Argo Acrisio per sapere se avrebbe avuto figli maschi risponde che da sua figlia sarebbe nato un figlio che l’avrebbe ucciso. Acrisio, per impedire che la figlia generasse, imprigiona Danae in una torre. Ma Zeus in forma di pioggia d’oro, passa attraverso il soffitto della torre, scende su di lei e la feconda (secondo altre versioni il fratello di Acrisio, Preto, vìola la nipote). Nasce Perseo e Acrisio, non credendo che il padre fosse Zeus, chiuse madre e figlio in un’arca di legno e li gettò in mare. Approdata la cassa sulle coste dell’isola di Serifo, Danae e Perseo vengono accolti da Ditti che li portò a Polidette, il re dell’isola che, a seconda delle diverse varianti del mito, sposa Danae e alleva Perseo, ovvero sottopone il giovane a una serie di prove, che costituiscono la sua iniziazione eroica e che culminano con la cattura, grazie all’aiuto di Atena, della testa della Gorgone Medusa. Dopo varie vicende, fra le quali spicca la liberazione di Andromeda, Perseo, durante una gara di pentathlon a Larissa (Apollodoro), o durante i giochi funebri per la morte di Polidette (Igino, fab. LXIV) lanciando il disco uccide accidentalmente il nonno Acrisio e così l’oracolo si avvera .

 Paolo Silenziario

Il poeta bizantino del VI secolo, ci spiega così il significato di questo mito.

Zeus, sotto forma di oro, ruppe il vincolo di intatta verginità,
penetrando nei bronzei talami di Danae.
A parer mio il mito vuol dire questo: bronzee
mura e serrami vince l’oro, che tutto soggioga.
L’oro rende inutili tutti i guardiani, tutte le chiavi;
l’oro piega le donne dal ciglio superbo;
l’oro piegò pur l’animo di Danae. Che nessun amante
supplichi la dea di Pafo, se ha danaro da offrire.

 

IL DIPINTO DI TIZIANO         DANAË

 

TECNICHE DI SEDUZIONE NELL’ARS AMATORIA DI OVIDIO

 Ars amatoria:. composta da 3 libri in distici elegiaci. in cui Ovidio si fa praeceptor amoris , un ruolo comunque svolto da quasi tutti i poeti elegiaci ma che, grazie a una sapiente mescolanza di generi (elegia, epica didascalica, precettistica tecnica), riesce ad acquisire un’importanza maggiore

I primi due libri sono indirizzati agli uomini, ai quali Ovidio   insegna come incontrare, conquistare (1), conservare (II) l’amore di una donna; nel III, composto in un secondo momento, il poeta rivolge gli stessi consigli alle donne.
L’opera rappresenta vivacemente il quadro sociale del tempo di Ovidio e dunque non stupisce il fatto che non sia stata apprezzata da Augusto stesso.
Al di sopra di tutto, al di sopra dei luoghi comuni, dei consigli d’amore, delle scene di vita come degli squarci di mito, è la sorridente arguzia del poeta, che con arte suprema e impeccabile impegno formale ha creato un mondo in cui tutto sembra accordarsi – anche gli inganni, gli spergiuri e le astute simulazioni – in una superiore armonia. Sullo sfondo, ancora la Roma degli “Amores”, una Roma fissata in un’atmosfera di magica luminosità, nelle cui vie affollate unica dominatrice sembra essere proprio la donna, con l’incanto delle sue apparizioni, con la gioia e il senso di vita che riesce a infondere.
Questo è un mondo di grazia e di eleganza, dove ognuno trova la propria dimensione in un impegno d’amore che è, sì, coinvolgente, ma che mai assorbe troppo sul serio: anche gli dèi e gli eroi sembrano farne parte.

Medicamenta Faciei. Anche quest’opera è a suo modo precettistica: un piccolo trattato di circa 100 versi, in metro elegiaco, che si divideva in due parti: la prima, una difesa dell’eleganza della vita di città, in confronto all’antica semplicità campagnola dei costumi; la seconda, una serie di 5 ricette di cosmetici che permettessero alle donne di conservare e rendere più attraente la loro bellezza.

 

 I CONSIGLI DI BELLEZZA DI OVIDIO

Le donne romane impiegavano parte del loro tempo nella cura del corpo. Ecco alcune ricette a noi sconosciute, riportate dallo scrittore romano Ovidio.

Le donne romane impiegavano parte del loro tempo nella cura del corpo. Ecco alcune ricette a noi sconosciute, riportate dallo scrittore romano Ovidio.

Per una pelle del viso splendente:
Sgusciare dell’orzo, possibilmente proveniente dalla Libia, e lavarlo.
Immergere in dieci uova una quantità di veccia (Pianta erbacea della famiglia delle Leguminacee) pari all’orzo, che non deve superare le due 
libbre.
Far asciugare la mistura all’aria aperta, macinarla insieme a qualche corno di cervo e setacciarla.
Aggiungere dodici bulbi di narciso lavati, ridotti in polvere in un mortaio (Recipiente, utilizzato per frantumare e polverizzare varie sostanze), due 
once di gomma con farina di frumento toscano e nove porzioni di miele.
Oppure:
Tostare sei libbre di lupini (Semi di una pianta erbacea delle Papilionaceee) friggere insieme sei libbre di fave. Schiacciare il tutto in macine di pomice (Roccia effusiva, consistente in pasta vitrea) e aggiungere biacca (sostanza colorante bianca velenosa), schiuma di nitro (Sale dell’acido nitroso) rosso e del gladiolo (Pianta delle Iridacee, con i fiori disposti a spiga).
Far lavorare il composto da giovani schiave, dalle braccia vigorose: il tutto non deve pesare più di un’oncia.

Per far sparire le macchie della pelle:
metà di un’oncia di alghe, prese dal nido di uccelli marini, con biondo miele dell’Attica.

Per una pelle del viso liscia e odorosa:
Mescolare l’incenso al nitro, circa un terzo di libbra, ed aggiungere un quarto di libbra di gomma e un dadetto di 
mirragrassa. Tritare il composto e diluirlo col miele, mirra odorosa , finocchio ed un pugno di rose secche. Aggiungere incenso maschile e sale di ammoniaca. Versare sul tutto una mucillagine d’orzo.

Per una pelle del viso delicata:
Stemperare (sciogliere) nell’acqua fredda dei papaveri. Una volta ridotti in crema, spalmare sulle guance.

CATULLO

carme XIII

Uno strano invito a cena, ovvero il ribaltamento di un codice comportamentale

“Cenerai proprio bene a casa mia tra pochi giorni, mio caro Fabullo, se gli dei vorranno, se porterai con te un pranzo succulento ed abbondante, e inoltre una splendida fanciulla, e il vino e il sale e risate d’ogni tipo. Se, ripeto porterai queste cose, mio caro, cenerai piacevolmente: perché il borsellino del tuo Catullo è pieno di ragnatele. Ma in compenso riceverai i segni di una sincera amicizia o tutto ciò che può esserci di più soave ed elegante; infatti ti donerò un unguento che donarono alla mia fanciulla Veneri e Amorini; quando tu ne sentirai l’odore, pregherai gli dei che ti facciano, o Fabullo, tutto naso”.

La poesia è un affascinante gioco in cui si intrecciano ironia, affetto, raffinatezza e nonsense. Il poeta si rivolge ad un caro amico, Fabullo, che invita a cena. Ma non si tratta di un invito usuale. Il rapporto di confidenza che si stabilisce tra il poeta e l’amico porta a mettere a nudo – seppur con dubbia sincerità – i problemi economici di Catullo e, nel contempo, gli elementi che servono a rendere gradita una cena: ricchezza di vivande, vino, una bella ragazza. In cambio il poeta offrirà una calorosa amicizia e non solo: il più gradito dei profumi." LUSSO E BELLEZZA "CONVEGNO FESTA DELLA DONNA

DALL’ INCONTRO  CON LA PROF.SSA ELEFANTE.                                 08/03/2016