conferenza archeoclub dicembre 2011

PRESEPE2007Il presepe

un pò di storia un pò di simbologia

Cos’è il presepe? Cominciamo dalla parola presepe. Deriva dal latino  (presepe – is) e significa mangiatoia,è il luogo dove si pone il fieno che è nutrimento degli animali e possiamo subito dire che, simbolicamente parlando, Gesù’ si fa lui stesso fieno,nutrimento per tutti i fedeli. Ma andiamo con ordine. Il tempo che precede il solstizio d’inverno  e le feste ad esso collegate,da Natale a Capodanno, è un periodo di passaggio tra il vecchio e il nuovo anno, tra il sole che sta morendo e il nuovo che deve risorgere. Questi giorni erano sacri in quasi tutte le religioni ed erano onorati con giochi e feste. Si riteneva infatti che, da novembre fino all’inizio di gennaio, il velo che separava il mondo dei defunti da quello dei vivi si assottigliasse, cosicché gli antenati defunti potevano tornare e vagare liberamente sulla terra. Ricordi di queste credenze sopravvivono ancora oggi con le feste di Halloween, Ognissanti, la commemorazione dei defunti ed altre ancora che cadono in dicembre e gennaio. A Roma, più di duemila anni fa, si celebravano i “Saturnalia” che già’ allora erano il ricordo sbiadito di altri riti molto più’ antichi dedicati al dio Saturno. Nel 217 a. C., dopo i disastri militari della seconda guerra punica, una festa poco importante, celebrata alla fine del ciclo agrario e dedicata ad Ops (dea dell’abbondanza), assunse il significato di un rito che richiamava la mitica eta’ dell’oro quando, sotto il regno di Saturno,si viveva in pace ed in ricchezza , come ci ricorda Macrobio.
Le origini di questi misteriosi Saturnalia non si conoscevano nemmeno allora, ma venivano celebrati allegramente per una settimana (dal 17 dicembre al 24 gennaio, cioè fino alla vigilia del Natalis Solis), durante la quale cadevano anche altre feste. Questa festa era la ricorrenza più festosa dell’anno: gli schiavi erano temporaneamente liberi di fare quel che volevano (sempre nei dovuti limiti), i padroni servivano gli schiavi, si facevano banchetti durante i quali ci si scambiava doni (questi doni in origine consistevano di vasi pieni di miele e fichi detti strenae, da cui deriva il nostro strenne), insomma ci si divertiva. Quel clima festoso celebrava la “notte artica”, la notte di passaggio dal vecchio al nuovo e in quei giorni ,e precisamente il 20 dicembre, si svolgeva un’altra festa molto sentita: i   Sigillaria” che era una festa molto radicata nella cultura etrusca e latina, dedicata ai Lari che erano gli antenati defunti che, secondo le tradizioni romane,vegliavano sulla famiglia. Ogni antenato veniva rappresentato con una statuetta di argilla o di cera chiamata “sigillum” (segno,effigie). Le statuette venivano collocate in apposite nicchie e, in particolari occasioni, onorate con l’accensione di una fiammella. In prossimità’ del solstizio d’inverno, durante la festa della Sigillaria, i parenti si scambiavano in dono i “sigilla” dei familiari defunti durante l’anno. In attesa della festa i bambini lucidavano le statuette e le disponevano,secondo la loro fantasia, in un piccolo recinto in cui si rappresentava un ambiente bucolico in miniatura. Nella vigilia del 20 dicembre la famiglia si riuniva davanti al piccolo recinto per invocare la protezione degli antenati e lasciare ciotole con cibo e vino. Il mattino seguente , al posto delle ciotole, i bambini trovavano giocattoli e dolci portati dai loro antenati. Di queste offerte ai morti sotto forma di cibo, resta il ricordo nel cosiddetto ” piatto dei morti”, composto da semi come quelli di sesamo, fave, lupini, noci, nocciole, mandorle, vino, grano, fino alla zucca e al mandarino svuotati, sotto forma di lanterna la prima e di lumino, con l’incavo della buccia tagliato a meta’ e riempito d’olio e per stoppino quella specie di picciolo interno, il secondo.
L’ antica festa della Sigillaria si può in un certo senso riconoscere, quindi, come un prototipo di primitivo presepe. Per ciò che riguarda la data del 25 dicembre come il giorno della nascita di Gesù, bisogna tener presente che nel calendario giuliano il 25 dicembre, vale a dire il solstizio d’inverno, era considerato il giorno in cui nasceva il nuovo sole ( i giorni cominciavano ad allungarsi) e questo evento era celebrato ovunque: in Siria e in Egitto, ad esempio, i sacerdoti si ritiravano nelle parti interne dei templi e a mezzanotte ne uscivano gridando: “La vergine ha partorito”. Gli Egizi rappresentavano il sole appena nato come un infante e la vergine che lo aveva dato alla luce era la grande dea orientale che i Semiti chiamavano la Vergine celeste. Anche la nascita di Mitra, divinita’ indoiranica della luce molto venerata a Roma tra i soldati e identificato con il Sol Invictus, aveva luogo il 25 dicembre ed anche Mitra era nato miracolosamente da una vergine, era il sole che lottava contro le tenebre, anche lui moriva, discendeva nel regno dei morti e risorgeva vittorioso.
Dopo l’assunzione del potere nell’impero, nel IV sec.d.C., la Chiesa cristiana tramutò alcune feste pagane tradizionali in feste cristiane, mantenendo parte dei riti e delle date, ma cambiando nomi e significati.
I Vangeli, come si sa, non dicono nulla sul giorno della nascita di Gesù e la Chiesa primitiva degli inizi non festeggiava questa data. Negli anni a seguire, poi, la natività’ di Cristo si celebrava il 6 gennaio.
In seguito , all’inizio del IV secolo,i padri della Chiesa, avendo notato l’uso di accendere fuochi e di festeggiare la nascita del sole il 25 dicembre anche da parte dei cristiani, decisero che in quel giorno dovesse essere festeggiata la vera natività e il 6 gennaio l’Epifania. La Chiesa, quindi, ha trasformato il periodo presolsistiziale di attesa
nella liturgia dell’ Avvento che consta di quattro domeniche, simbolo
dei 4.000 anni di attesa del Messia dopo la caduta originale.
Il carattere dell’Avvento è di penitenza ( i paramenti sono viola, niente fiori sull’altare e niente musica) e nello stesso tempo di allegria per la venuta di Cristo.
Il Natale è quindi la nascita per eccellenza,splendente e miracolosa, quasi in contrapposizione alla natura in questo periodo addormentata e avvolta dal freddo e dal buio che viene rischiarato da un piccolo Sole che sconfigge le tenebre e la morte. Questo avvenimento così familiare e umano, se da un lato colpisce la fantasia dei paleocristiani rendendo meno oscuro il mistero di un Dio che si fa uomo, dall’altro li sollecita a sottolinearne gli aspetti trascendentali quali la divinità del Bambino e la verginità di Maria. Così si spiegano le immagini parietali del 3°secolo nel cimitero di S. Agnese e nelle catacombe di Pietro e Marcello a Roma che mostrano una natività e l’adorazione dei Magi. Dal 4° sec. la Natività diviene uno dei temi dominanti dell’arte religiosa e, tra i tanti manufatti dell’epoca, spicca per valore artistico la Natività e l’adorazione dei Magi in un dittico in 5 parti in avorio e pietre preziose del V sec. custodito nel Duomo di Milano.
Arriviamo ora al tempo in cui, secondo la tradizione popolare, nasce il primo presepe. Siamo nel Medioevo e San Francesco, due settimane prima del Natale del 1223, si accordò con Giovanni Velita, signore di Greccio, per celebrare la nascita di Gesù, volendo ricreare non solo l’atmosfera di Betlemme ma anche i disagi vissuti dal Bambino. Così nacque il primo presepe vivente della storia, formato da una famiglia di contadini che deponevano il loro bambino nella mangiatoia, circondati da un bue, un asinello e dai pastori; mentre il primo esempio di presepe inanimato giuntoci è quello scolpito nel legno da Arnolfo di Cambio nel 1280, su commissione di papa Onorio IV e le cui 5 statue residue si conservano nella cripta della Cappella Sistina di S. Maria Maggiore a Roma.
Dei secoli successivi si conservano presepi  monumentali in legno o in marmo nelle Chiese dell’Italia centromeridionale. Caratteristica di questi presepi del tempo è che si trovavano solo nelle chiese ed erano permanenti. La disposizione è sempre la stessa: in basso la grotta, più su la montagna con le greggi, in lontananza il corteo dei Magi. Bisogna arrivare al ‘500 per trovare i primi timidi mutamenti: qualche accenno al paesaggio, i cani, le pecore. Il periodo d’oro del presepe comincia a Napoli dal ‘600 a tutto l’800 e possiamo attribuire la nascita del presepe napoletano ai fratelli Giovanni e Pietro Alemanno che, già nel ‘400, realizzavano ricostruzioni della Natività con statue di legno di dimensioni naturali,solenni e prive di ornamenti che potessero distrarre i fedeli dalla preghiera. Nel ‘500 alle statue in legno vengono affiancate statue in argilla o terracotta più piccole. I pastori diventano manichini con anime in fil di ferro snodabili, abbigliati in costumi d’epoca e tutto il presepe diviene, col passar del tempo, una riproduzione della vita quotidiana. I primi ad usare la prospettiva sul presepe, adottando ,diciamo così, il trucco di usare pastori di grandezza diversa dando in questo modo l’illusione della lontananza e della vicinanza, furono i padri scolopi, ma chi portò il presepe fuori dalle chiese fu S. Gaetano da Thiene che nel 1534 realizzò un presepe con figure di legno presso l’ospedale degli Incurabili. Il secolo d’oro del presepe fu il ‘700 quando entrò nelle case dei nobili. Si racconta che anche il re Carlo III avesse  una grande passione per il presepe, tanto che partecipava personalmente al suo allestimento e alla preparazione. Quando dovette lasciare Napoli per la Spagna, portò con sé un grandissimo presepe e molti artigiani che,anche lì, iniziarono un’importante tradizione presepiale. In questo periodo, per gli scavi fatti a Pompei, sulle scenografie cominciano ad apparire scorci di ruderi antichi di fattura classica  ( tipica la capanna che diviene un tempio romano diroccato con colonne). I pastori sono sempre più articolati con volti molto espressivi, abbigliati con veri gioielli, con abiti e parrucche che possono essere cambiati secondo la moda del tempo. Anche grandi artisti come il Sammartino, su incarico di ricchi committenti, costruiscono splendidi pastori. I presepi napoletani del ‘700, autentici capolavori di arte e di inventiva, ricchi di scenografie, angoli caratteristici e ambienti dell’epoca, con una tipologia di personaggi in mille atteggiamenti e occupazioni, offrono un’esauriente e ricca riproduzione della vita popolare del tempo.
Si potevano ritrovare le vie in cui si viveva,scenette di vita quotidiana, c’erano ( e ci sono ancora oggi) personaggi in cui identificare il bene e il male, il giusto e l’ingiusto. Le figure rappresentate, animate da semplicità e poesia, rappresentano un prezioso documento etnografico, infatti è riprodotta fedelmente un’ampia gamma di personaggi intenti a vari mestieri come arrotini, mercanti, venditori di frutta e verdura con una vasta tipologia di abiti da festa e da lavoro, cappelli, fazzoletti, diversi modi di fasciare i bambini, brocche, ceste e vari modi di recarle. A tale proposito voglio ricordare che nei piccoli cestini di frutta in cera che si trovano nelle mani dei pastori napoletani del ‘700, si possono notare frutti che oggi o non esistono più o sono molto difficili da trovare. Parlo di frutta come la mela limoncella, il corbezzolo, il giuggiolo, il sorbo, la pera pennata, le carrube e tanti altri. Le scenette di vita popolare che si ritrovano sui presepi settecenteschi sono testimonianza di usi e abitudini ormai perduti. Come per i luoghi, il significato profondo delle figurine popolari del presepe va al di là della mera rappresentazione di costume. Questi pastori sono segni, simboli collegati ad antiche leggende e tradizioni.
Cominciamo adesso col definire il simbolo e la simbologia. Il simbolo è la raffigurazione concreta di una cosa che rappresenta un concetto astratto. La simbologia è la scienza che studia i simboli e tutto, nel presepe, è un simbolo. A volte lo stesso personaggio assomma in sè diversi significati che gli sono stati attribuiti nei secoli. Possono esserci, quindi, diverse tipologie di lettura per il presepe e quello napoletano in particolare, per la sua complessità e varietà di forme e apparenze, è quanto di più difficile si possa analizzare; infatti come tutte le manifestazioni popolari, nel corso dei secoli, ha aggregato in sè tutti i significati del Natale creando una fitta trama simbolica.
Il presepe, come lo conosciamo oggi, è il frutto di una lunga evoluzione avvenuta nel corso dei secoli poiché i primi presepi ispirati ai Vangeli canonici rappresentavano solo la Sacra Famiglia, gli angeli e i pastori. Infatti i Vangeli canonici, cioè i 4 Vangeli riconosciuti dalla Chiesa come documenti scritti da autori ispirati da Dio, parlano della nascita di Gesù con semplicità e povertà di notizie, non parlano  della grotta o della stella, non parlano degli animali, della luce, né di altro. Nel Vangelo secondo Luca, infatti, la luce è destinata ai pastori e si legge:”Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse nella sua luce” ( Luca 2,9.10). Per ciò che riguarda il luogo sempre Luca dice:”Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia” (Luca 2,12).  Non c’è quindi nulla, nei Vangeli canonici, che abbia dato vita  alla rappresentazione presepiale come la conosciamo oggi. Ci sono però altri scritti, che la Chiesa riconosce come opere scritte da persone in perfetta buona fede ma non ispirati da Dio e questi sono i Vangeli apocrifi che si soffermano maggiormente sui racconti e le leggende che avrebbero accompagnato la nascita di Gesù, arrivando a paragonare l’evento ad un bagliore di luce e ad un arresto del creato. Tra i vangeli apocrifi voglio ricordare il cosiddetto Codice di Hereford, che è la trascrizione antichissima di un vangelo. Questo manoscritto del 13° sec. ,che include anche il Vangelo dello Pseudo Matteo, il Protovangelo di Giacomo e i Vangeli canonici di Matteo e Marco, narra con molta fantasia la nascita di Gesù, la spiega attraverso il linguaggio simbolico della luce e parla anche di un improvviso arresto del creato, raccontato da Giuseppe nel Protovangelo di Giacomo. Questo manoscritto fu trovato nella biblioteca del capitolo di Hereford in Gran Bretagna da M.R.James, un noto studioso degli apocrifi , nel 1927.
Guardiamo ora al presepe e ai suoi significati. Il presepe ha canoni di costruzione precisi che io non conosco molto bene ma in genere ha un primo piano pianeggiante a cui si accede per sentieri e discese scoscesi e ripidi che portano alla grotta.
A volte il presepe presenta una struttura a torre dove, sul punto più alto, è il castello di Erode e il cammino procede a spirale ( la spirale, in simbologia, è il simbolo della vita e della rinascita ) verso la grotta  che è un confine incerto tra luce e tenebre, tra la nascita e il mondo che la precede, ma è anche un luogo d’ingresso alle tenebre, agli inferi, alla morte. Non dimentichiamo che, nella mitologia, la grotta è la porta d’accesso all’Ade. La tradizione, che vuole Gesù nato in una grotta, è attestata in Oriente già nel II° sec. ma in Occidente compare  due secoli dopo soppiantando  completamente la tradizione della nascita in una stalla o capanna. La grotta è collocata al centro, nel luogo più basso,  con altre grotte laterali più piccole. Sentieri impervi conducono dalla montagna alla grotta, simbolo materno per eccellenza; per arrivarci bisogna affrontare un viaggio in discesa verso il sotterraneo ( le angosce e la paura della discesa verso il buio) per poter poi partecipare  alla nascita del sole, al trionfo della luce sulle tenebre. La grotta è il luogo dove si ritiravano i profeti per prepararsi alla loro missione, è immagine di austerità e povertà, ma nello stesso tempo, la grotta di Betlemme ( che significa ” casa del pane”) ospita i rappresentanti di tutta la natura creata  fino all’uomo e agli angeli che rendono omaggio al loro Creatore fattosi visibile.
Altro elemento fondamentale del presepe è l’osteria che va posta sullo stesso piano della grotta.
L’osteria è il posto dei diavoli che un tempo venivano messi anch’essi sul presepe a simboleggiare il male perché il bene non può esistere senza la lotta e quindi il superamento del male. Le due grotte vicine simboleggiano questa lotta e questa vicinanza  è necessaria poiché l’armonia, l’equilibrio nascono dall’equilibrio di due principi opposti. Molti sono i significati dell’osteria e, tra questi, c’è il rischio del viaggio alludendo e al viaggio della vita e al viaggio di Maria e Giuseppe in cerca di alloggio, episodio che, nella cantata dei pastori, si sviluppa con Belfagor travestito da oste  che cerca di adescare i due per sopprimere la Madonna. All’osteria è collegata anche la leggenda napoletana dei tre bambini uccisi dall’oste nei giorni precedenti il Natale per farne cibo per i viaggiatori. Tra questi c’era San Nicola che rifiutò di mangiare, benedisse i poveri resti e i bambini risuscitarono. Su questa spaventosa leggenda le donne napoletane cantavano una nenia per addormentare i bambini detta “o lagn’ ‘e Natale”.L’osteria è collegata anche alla voracità e alla notte, poiché ad essa si associa il significato rituale del mangiare, riferimento alla vita materiale contrapposta alla vita spirituale. Nell’osteria c’è abbondanza di cibo, simbolicamente alla portata di tutti: in questo senso è espressione del popolo napoletano del ‘700 avvezzo al pasto in comune, al piacere del cibo portato all’eccesso soprattutto presso chi durante l’anno mangiava poco e beveva acqua. In ultimo, l’osteria è presagio del tradimento da parte di Giuda durante l’ultima cena, avvenuto non a caso a tavola. E’ anche riferimento al primo miracolo di Gesù : le nozze di Cana.
Spesso accanto all’osteria c’è il forno, un vero ritratto di vita popolare in cui compaiono i sacchi di farina, fascine, ceste piene di pani o biscotti di varie fogge. Il pane è chiaro simbolo di Cristo, pane di vita, ma ricorda anche che non di solo pane vive l’uomo, ma di opere e parole.
Un elemento che è sempre presente nella scenografia del presepe sotto varie forme è l’acqua. Infatti c’è sempre il fiume fatto con la carta d’alluminio, la fontana, il pozzo, il ponte e quant’altro la fantasia suggerisce. Ma perché? Anche se oggi si guarda per lo più all’effetto scenico, l’acqua è da sempre carica di significati: è riferimento alla nascita per i liquidi che avvolgono il bimbo nel grembo materno, ha  valenze religiose di purificazione in quasi tutte le religioni, ha significato di morte e di vita ( la resurrezione),  di rinascita, di rigenerazione perché simboleggia una nuova nascita e perché l’acqua è vita e la sua mancanza morte.
Il fiume è segno del tempo che scorre, del ciclo vitale, della nascita e della morte. E’ linea di confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti, è il fiume attraversato dalle anime per raggiungere l’altro mondo, ma è anche il luogo in cui chi vi si immerge ne esce purificato. E’ fonte battesimale e ricorda il Giordano in cui venne battezzato Gesù.
Il pozzo è uno degli elementi più ricorrenti e rappresenta il collegamento tra la superficie e le acque sotterranee. Ad esso si associa la Madonna, motivo per cui in Campania diverse Chiese sono dedicate alla Madonna del Pozzo. Un tempo non si attingeva acqua la notte di Natale perché si credeva che, in quella sera, l’acqua del pozzo contenesse spiriti diabolici che si sarebbero impossessati di chi l’avrebbe bevuta, non ci si specchiava nemmeno perché nei suoi riflessi apparivano le teste di tutti quelli che sarebbero morti nell’anno. In provincia di Avellino si prestava  particolare attenzione, quella sera, a che i bambini non si avvicinassero neppure al pozzo perché “Maria ‘a man’ longa” avrebbe preso i piccoli e li avrebbe portati con sé nel pozzo.
Anche la fontana è collegata alle acque del sottosuolo e, poiché i Vangeli apocrifi  tramandano che la Madonna avrebbe ricevuto l’annuncio mentre attingeva l’acqua, la figura della donna alla fontana simboleggia l’annunciazione.
Il ponte è per eccellenza simbolo di passaggio ed è collegato alla magia. E’ un luogo di transito e collega il mondo dei vivi con quello dei morti. Alcune favole raccontano di ponti costruiti in una notte dai diavoli, il ponte raffigura l’idea del passaggio pericoloso  presente nei rituali e nelle mitologie iniziatiche e funerarie. L’iniziazione, la morte, la fede , la conoscenza equivalgono al passaggio da un modo di essere ad un altro e, per esprimere questo passaggio, le varie  tradizioni religiose ed esoteriche  hanno usato il simbolo del ponte. La visione di San Paolo mostra un ponte  stretto come un capello che collega il nostro mondo al Paradiso e la stessa immagine si ritrova presso gli scrittori e i mistici arabi. I morti della mitologia iraniana si servono del ponte Cinvat per il loro viaggio dopo la morte: per i giusti ha lo spazio di nove lance ma per i peccatori è sottile come la lama di un rasoio e al di sotto si apre l’abisso dell’inferno. Il ponte, quindi, è simbolo del viaggio, del cammino, del pellegrinaggio verso l’aldilà.
Un altro elemento colmo di significati complessi è il mulino : le pale che girano rappresentano il trascorrere del tempo, la ruota, col suo eterno girare, allude al nuovo anno e alla ciclicità immutabile delle stagioni, delle nascite e delle morti. La macina che schiaccia il grano produce farina e presiede quindi alla preparazione del pane che è alimento per tutti e Cristo è pane di vita. Ha anche chiaro significato infero perché produce farina che, com’è risaputo, è antica simbologia di morte.
Altri ancora sono gli elementi che compongono la scenografia del presepe a cominciare dal buio. Infatti la natività avviene in piena notte e il buio raffigura le tenebre dell’idolatria e del peccato che avvolgono il mondo al momento della nascita di Gesù. La notte rappresenta l’origine misteriosa del creato, il vuoto riempito da Dio con la creazione.
Il fuoco, al contrario, è la vita, l’energia per eccellenza la cui intensità varia in funzione della fiamma, che riscalda ma può essere anche tanto forte da bruciare e consumare o, al contrario, languire fino a spegnersi. Per questo motivo la morte è simbolicamente percepita come l’estinzione del fuoco e da ciò derivarono gli antichi riti della conservazione del fuoco.
La palma è l’albero della vita, la pianta che Dio aveva messo nell’Eden accanto all’albero della conoscenza. Adamo ed Eva potevano cibarsi dell’albero della vita  che è anche albero della pace, dell’abbondanza, della vittoria.
Importante è anche il paesaggio e, tra le ambientazioni, una tra le più ricche di significato è il deserto. Solo nel deserto ( e quindi nella solitudine e nella meditazione) ci si può raccogliere e l’anima si rigenera. Nel deserto, infatti, Dio diede a Mosè le tavole della legge, nel deserto predicò il Battista, Gesù si ritirò nel deserto per 40 giorni e gli eremiti spesso vivevano nel deserto in una grotta.
Passiamo ora ad esaminare i significati dei personaggi presepiali. I primi che vengono in mente, oltre alla Sacra Famiglia, sono gli angeli sulla grotta. In genere sono tre: al centro, con una veste dorata e il cartiglio “Gloria in excelsis Deo”, c’è la cosiddetta ” Gloria del Padre”, alla sua destra, con vesti candide e l’incensiere in mano, sta la “Gloria del Figlio” mentre la “Gloria dello Spirito Santo” è alla sua sinistra, vestito di rosso e suona una tromba, alludendo così al soffio divino. Ci possono essere anche altri due angeli, in azzurro e in verde, con i cembali e il tamburo per cantare l’osanna regale e quello popolare. Si può anche arrivare a 7 o 9 con i cosiddetti angeli profeti e nunzianti. Sulla grotta, poi, c’è la stella cometa. Le comete, nell’immaginario popolare, hanno sempre fatto paura e le loro occasionali apparizioni sfidavano la nozione di un cosmo inalterabile ed ordinato. Infatti era inconcepibile che una striscia luminosa, che sorgeva e tramontava con le stelle ogni notte, non contenesse un presagio. Così nacque l’idea che le comete fossero portatrici di disgrazie, che predicessero la morte di principi o la caduta di regni. La nascita di Gesù si presentò come lo scompiglio dell’ordine immutabile ed eterno, del sempre uguale e tale disordine è ben rappresentato nel presepe: un Re che nasce povero, una stella che brilla come il sole, innocenti che vengono uccisi e così via. La stella cometa diventò allora simbolo dell’incontro tra opposti, conciliazione tra ordine e disordine.
Altri personaggi fondamentali sono i Magi. Anche i re Magi derivano dai Vangeli apocrifi e precisamente dal Vangelo dell’infanzia armeno. Questo vangelo colma la lacuna dei nomi e del numero che prima variava tra 2 e12 e fu definitivamente stabilito in 3 da un decreto di papa Leone I Magno. I Magi raffigurano le tre età della vita ( giovinezza, maturità e vecchiaia), ma anche i tre continenti allora conosciuti. I doni che recano sono oro, per la regalità di Cristo, incenso, per l’adorazione della divinità, mirra ,per l’umanità del Cristo ( la mirra era usata per ungere i morti). I re Magi sono rappresentati su cavalli bianco,rosso o baio e nero. Questi colori raffigurano il viaggio quotidiano del sole, infatti il cavallo bianco simboleggia l’aurora, quello rosso rappresenta il mezzogiorno e il cavallo nero la sera e la notte. I re Magi rappresentano il viaggio notturno del sole che termina dove si congiunge con la nascita del nuovo sole bambino.
In senso solare va interpretata la tradizione  cristiana secondo cui essi partirono da oriente, che è il punto di partenza del sole. In passato il corteo dei magi era arricchito dalla presenza di una figura femminile, la Re magia, figura lunare, fidanzata del re moro e accompagnata in portantina da 4 schiavi neri. Questa figura simboleggiava il percorso della luna che segue il sole e ricordava anche la regina di Saba e la Lilith della creazione ( la leggendaria luna nera), per sottolineare il riferimento simbolico alla Notte. Tra le tante leggende che vedono protagonisti i re Magi vorrei raccontarne una che mi piace particolarmente e mi piacerebbe farvi conoscere. S’intitola ” I Re Magi e i 30 denari.”
Davanti alla grotta del monte Nud, il monte del Paradiso, per millenni i Magi avevano custodito il tesoro raccolto da Adamo comprendente, tra le altre cose , una grossa mela d’oro e 30 denari d’argento. A Betlemme  i Magi donarono  a Maria questi denari ma la Madonna, durante la fuga in Egitto, li perse. Furono trovati da un levita che li consegnò al tempio di Gerusalemme e anni dopo, furono usati per pagare il tradimento di Giuda.
Un personaggio che oggi non si ritrova più sul presepe è il diavolo. E’ difficile capire il perchè dell’assenza di uno dei personaggi principali, eppure è a lui, il male supremo, che si deve la venuta di Cristo sulla terra: se non avesse tentato Eva forse le cose sarebbero andate diversamente. Una volta e non parlo di tanti anni fa, su tutti i presepi c’era ,vicino alla grotta, il diavolo incatenato a simboleggiare la sconfitta del male.
Un’altra figura che è sempre presente, in diversi atteggiamenti, è la zingara, che è il personaggio profetico per eccellenza ed è collegato alle sibille profetesse. La tradizione vuole che la sibilla cumana avesse predetto la nascita di un bambino da una vergine, illudendosi di essere lei la predestinata. Quando udì gli angeli annunziare la nascita di Gesù, si rese conto della sua presunzione e fu trasformata in un uccello notturno. La zingara col bambino ( Stefania) è collegata alla fuga in Egitto ( è straniera in terra straniera) ed anch’essa è protagonista di una gentile leggenda: Stefania era una giovane  donna che, il giorno dopo la nascita di Gesù, voleva rendere omaggio a Maria e al suo Bambino ma gli angeli facevano entrare soltanto le mamme  con i loro figli. Il desiderio di Stefania di vedere il divino Bambino era grande perciò, senza perdersi d’animo, avvolse nelle fasce una pietra ed entrò nella grotta.
Quando fu alla presenza della Madonna, all’improvviso, la pietra che aveva tra le braccia starnutì e Maria, sorridendo, le disse: “Non aver paura, Stefania. E’ nato Stefano.”
Secondo la tradizione, Stefano fu il primo compagno di Gesù ed il primo a morire per la fede. La Chiesa lo ricorda il 26 dicembre.
La zingara senza il bambino e con i ferri in mano ( i chiodi) preannuncia la passione.
Il pescatore e il cacciatore sono sempre posti l’uno in basso presso le acque fluviali e l’altro in alto sui monti, rimandando esplicitamente al mondo infero e a quello celeste. Rappresentano due tipi di culture successive alla società matriarcale e raffigurano le più antiche attività dell’uomo. Queste figure in coppia raffigurano arcaiche rappresentazioni del ciclo vita-morte, giorno-notte, estate-inverno. Questa raffigurazione è ricorrente in tutte le antiche tombe egizie,etrusche ed italiche.
Altri personaggi in coppia sono i 2 giocatori di carte. Essi rappresentano i due solstizi, quello d’estate del 24 giugno con S. Giovanni Battista e quello d’inverno con S. Giovanni Evangelista il 27 dicembre. Il primo, precursore del Verbo, precede e prepara l’avvento della Verità, il secondo, apostolo iniziato, prosecutore della dottrina ermetica, segna l’avvento della Verità. Si onorano così i due Giovanni nei giorni solstiziali. Nel presepe napoletano sono detti “zì Vicienz’ ” e “zì Pascal’ ” e rappresentano rispettivamente il carnevale e la morte.
Un altro importante  personaggio è Benino che va sempre collocato su un alto punto della montagna a simboleggiare il cammino esoterico verso la grotta attraverso percorsi scoscesi. Questo viaggio  si compie durante il sogno a significare che è necessaria una guida spirituale per condurre dal sonno ( della ragione, della fede ) al risveglio in un mondo interiore della conoscenza. Alla fine del viaggio, superate le paure e i vari ostacoli, questo personaggio, giunto alla fine del suo cammino davanti alla grotta, si identifica nel pastore della meraviglia che, accecato dalla rivelazione, non ha parole per esprimerla. Insieme a Benino c’è sempre Armenzio, un vecchio pastore che simboleggia la guida spirituale che accompagna nel viaggio Benino, con lui ci sono sempre 12 pecore che rappresentano i mesi dell’anno ( e quindi la vita).
Anche i sentieri tortuosi e scoscesi hanno il loro significato, rappresentando, con la difficoltà del loro percorso, le prove, i disagi e i pericoli  che bisogna affrontare durante la vita prima di giungere alla meta.
Altre figurine in coppia sono il bue e l’asinello. Anch’essi derivano dai Vangeli apocrifi e da una profezia di Isaia che dice: “Il bue ha riconosciuto il suo padrone e l’asino la greppia del suo padrone.” Il bue, forte e calmo,simboleggia l’obbedienza che si realizza nel lavoro e nel sacrificio ed è il simbolo del popolo eletto ( gli ebrei ), sottomesso all’antica legge. L’asino, nonostante l’immeritata fama che gli hanno attribuito gli uomini di stupidità e stolidità, è simbolo di intelligente umiltà, di sapienza. Infatti nel libro dei Numeri ( 22, 22 ) si dice che è l’animale che capisce Dio più di quanto riescano gli uomini. E’ l’ animale che servirà da cavalcatura a Cristo e raffigura il popolo cristiano che si converte e si sottomette alla nuova legge.
Altro personaggio è la lavandaia. Deriva da rappresentazioni medioevali, da iconografie orientali e tradizioni cristiane extra liturgiche. La lavandaia testimonia il parto di Maria; infatti, secondo i Vangeli apocrifi, Maria fu visitata da più levatrici ma solo una, Salomè, volle accertarsi della sua verginità toccandola. La  conseguenza fu che la sua mano si rinsecchì all’istante e guarì solo dopo aver toccato Gesù. Sul presepe, in conformità a tale leggenda, dovrebbero esserci più levatrici ( le lavandaie ) che, dopo aver lavato il Bambino, stendono ad asciugare i panni del parto il cui candore è un’ulteriore conferma della verginità della Madonna.
Gli zampognari rappresentano l’anno vecchio e l’anno nuovo mentre Cicci Bacco è una figura che rimanda alle antiche divinità pagane ; infatti rappresenta il dio Bacco che, fino al 1429, a Napoli, veniva  portato in corteo a S. Chiara su dei carri insieme ad altri dei per rendere omaggio a Gesù. In testa al corteo, su un carro carico di botti trainato da buoi, era seduto un uomo molto grasso con un fiasco di vino in mano a rappresentare Bacco. Dietro il carro venivano la donna bianca e la donna nera a rappresentare Diana ed Erodiade, le vecchie che filavano la lana erano le Parche, il cacciatore con l’arco era Apollo, la vecchia che imbeccava una gallina erano rispettivamente Demetra e Kore, i due vecchietti vicino al braciere ricordavano Saturno ed Era.
Le pecore simboleggiano da sempre le anime dei defunti mentre il pastore, che con un bastone in mano le guida, rimanda ad Ermes psicopompo ( colui che guida le anime). Il pezzente e lo storpio si identificano con le anime del Purgatorio perchè ” petenti” , imperfette come le anime pezzentelle che nel purgatorio terminano la loro purificazione. I cani sono il simbolo della fedeltà spinta fino al sacrificio, i cammelli e gli elefanti, che fanno parte del corteo dei Magi, raffigurano rispettivamente la sobrietà e l’obbedienza, la saggezza e la temperanza.
Sul presepe, nei secoli, ha trovato la sua collocazione anche il mercato e i vari personaggi raffigurano i mesi dell’anno e precisamente:
Gennaio= il macellaio o il salumiere
Febbraio= il venditore di ricotta o di formaggi
Marzo= il pollivendolo
Aprile= il venditore di uova
Maggio= la donna che vende ciliege
Giugno= il panettiere
Luglio= il venditore di pomodori
Agosto= il venditore di cocomeri
Settembre= il contadino con i suoi prodotti
Ottobre= il vinaio
Novembre= il venditore di castagne
Dicembre= il pescivendolo
Un’ultima cosa resta da dire: il significato dei colori delle vesti della Madonna e di San Giuseppe che sono quasi sempre vestiti con abiti di colore rosa e celeste la Madonna e giallo (o viola o porpora) e marrone San Giuseppe.
Il rosa è il simbolo della giovinezza e di un amore appena nato, il celeste esprime tranquillità e comprensione.
Il giallo dorato simboleggia la sacralità, il marrone la terra, l’umiltà, la rinuncia al mondo.

Una risposta a “conferenza archeoclub dicembre 2011”

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